Idroelettrico, l’antica potenzialità inespressa

Un secolo fa, tra l’inizio del Novecento e il primo dopoguerra, l’idroelettrico era il protagonista indiscusso della transizione energetica italiana dalle fonti fossili verso quelle rinnovabili. Non appena la tecnologia ha permesso di trasmettere l’energia da una località all’altra – ossia negli ultimi anni dell’Ottocento – si è iniziato subito a sfruttare il grande bacino idroelettrico delle regioni del nord. Addirittura, si è creduto che questa unica fonte green dell’epoca potesse essere così abbondante da garantire da sola all’Italia l’autosufficienza energetica, tanto da essere ribattezzata il “carbone bianco” delle Alpi. L’energia dell’acqua era (ed è) rispettosa dell’ambiente, disponibile in grande quantità entro i confini nazionali e ottenibile a prezzi bassi: una serie di vantaggi che hanno portato il paese a investire molto e fin da subito sull’idroelettrico.

Fino agli anni Venti del secolo scorso le centrali idroelettriche rappresentavano la quasi totalità dell’energia green italiana, con contributi minuscoli da parte di altre fonti come il geotermico (con la centrale toscana di Larderello, costruita nel 1904) e l’eolico. Da protagonista indiscusso del panorama energetico non fossile, l’idroelettrico ha perso peso nel corso dei decenni, non tanto per un calo delle produzioni – anzi, il trend non è mai stato al ribasso – ma per un sostanziale e progressivo appiattimento della curva.

Durante tutta la prima metà del Novecento, e fino agli anni Cinquanta inclusi, si realizzò il massimo sfruttamento del potenziale idroelettrico italiano, con la costruzione di parecchie grandi centrali. Poi, però, in parte per la carenza di ulteriori sorgenti vantaggiose da utilizzare e in parte per una perdita di prestigio dovuta a disastri ambientali come il Vajont, dagli anni Sessanta del Novecento fino al primo ventennio del nuovo secolo gli aumenti nella produzione sono stati modesti. Negli ultimi sessant’anni le variazioni sono state nel complesso inferiori al 10%, peraltro con un andamento altalenante il che, rapportato con la crescita di altre fonti energetiche, fossili e non, ha significato una notevole perdita di importanza relativadell’idroelettrico nel paniere energetico italiano.

L’idroelettrico non è distribuito in modo uniforme sul territorio italiano. La stragrande maggioranza degli impianti, e della potenza installata, si trova lungo le Alpi. A fine 2018 in Piemonte sono risultati registrati 930 impianti, corrispondenti a più di un quinto di quelli italiani e al 14,6% del dato nazionale in termini di potenza. Segue poi la Lombardia con 661 impianti, che però si colloca al primo posto in assoluto in termini di potenza, con il 27,2%. E ancora, le province autonome di Trento e di Bolzano che, rispettivamente con 268 e 543 impianti, rappresentano insieme il 19,3% della potenza italiana. La classifica prosegue poi con Veneto (392 impianti e 6,2% della potenza), Valle d’Aosta (173 e 5,2%) e Friuli Venezia Giulia (233 e 2,8%).

Lungo la dorsale degli Appennini si distinguono invece l’Abruzzo, con soli 71 impianti ma il 5,4% della potenza nazionale, la Calabria (54 impianti e 4,1%) e l’Umbria (45 impianti e 2,8%). Infine, altri contributi non trascurabili arrivano da Lazio, Campania, Sardegna, Toscana, Emilia-Romagna e Marche. Viceversa, Liguria, Molise, Puglia, Basilicata e Sicilia raccolgono invece nel complesso il 2,5% della potenza totale installata.

Fonte: Enel